La notizia è di quelle che pesano: la Procura di Milano ha chiesto l’amministrazione giudiziaria per Tod’s Spa, accusata di aver agevolato colposamente un “pesante sfruttamento lavorativo” lungo la propria filiera produttiva.
Gli inquirenti parlano di operai pagati 2,75 euro l’ora, costretti a lavorare in condizioni degradanti, in una dinamica che richiama più la schiavitù che la manifattura di pregio.

Un’accusa che stride con l’immagine pubblica del brand, ma soprattutto con le pagine del suo bilancio di sostenibilità: energia 100% rinnovabile, riduzione delle emissioni, investimenti sul territorio e la narrazione di una filiera italiana da valorizzare.
Il paradosso è evidente: a cosa serve un bilancio di sostenibilità se non illumina proprio l’anello più fragile della catena?
La domanda scomoda: chi certifica la sostenibilità?
Non basta dichiarare impegni e numeri: la vera questione riguarda la verifica indipendente.
- Chi controlla che i dati riportati siano affidabili?
- Chi assicura che gli standard ESG adottati non siano solo un esercizio di immagine?
- Chi porta la luce nei subappalti, negli appalti al ribasso, nei laboratori dove le regole saltano?
Senza controlli rigorosi, trasparenti e indipendenti, un bilancio di sostenibilità rischia di restare una patina di storytelling, più utile alla reputazione che al cambiamento reale.
Un problema sistemico, non episodico
Il caso Tod’s non è isolato.
Altri marchi del lusso e del fast fashion sono stati toccati da scandali simili negli ultimi anni. La verità è che ci troviamo di fronte a un sistema fragile, costruito su zone d’ombra, subappalti opachi e responsabilità che si disperdono lungo la filiera.
Eppure, se la sostenibilità deve essere credibile, un marchio non può fermarsi al primo anello della catena. Deve farsi carico di ciò che accade fino all’ultimo laboratorio, all’ultima busta paga, all’ultima persona invisibile che lavora dietro le quinte.
La sostenibilità non è un PDF
Si può stampare ogni anno un bilancio ESG patinato, ma se la catena resta spezzata, quel documento diventa un castello fragile.
La sostenibilità autentica è fatta di verità, trasparenza e responsabilità diffusa.
Non basta scrivere di rinnovabili e riduzione delle emissioni: bisogna avere il coraggio di portare la luce nelle zone d’ombra, dove si decide davvero se un’impresa è sostenibile o meno.
Perché la sostenibilità non è un file da scaricare, ma un atto di verità.
E la vera rendicontazione è quella che non lascia nessuno nell’ombra.
